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“Mi chiedo perché in Italia non è stata possibile la nascita di un canale come “Arte” la cui ragione sociale è il fare cultura, diffonderla, allargare il numero dei suoi spettatori insieme a quello dei suoi autori, inventandone di nuovi, promuovendoli. Varrebbe la pena interrogarsi sul perché da noi qualcosa del genere è stato inimmaginabile, almeno fino a ieri”. E’ uno stralcio dell’intervento pubblicato su la Repubblica dell’11 Giugno del noto regista Bernardo Bertolucci.
Una lettera aperta, quella di Bertolucci, che ha dato il la al convegno del 3 Luglio “Il format che non c’è”, organizzato dalla Provincia di Roma e dall’Associazione “Articolo 21”, sui prossimi scenari della RAI e della sua funzione di servizio pubblico, sulla questione del conflitto d'interessi, sulla necessita di rimettere la cultura in cima alle scelte dei palinsesti televisivi, sul rinnovo di contenuti e contenitori della tv pubblica.

Durante l’incontro, di fronte ad una platea di autori, registi, scrittori, produttori, giornalisti e rappresentanti di diversi sindacati del mondo della comunicazione, si sono succeduti gli interventi, tra gli altri, Diego Cugia, Mario Morcellini, Gianni Ippoliti, Monica Guerritore, Paolo Gentiloni.

Il messaggio emerso a gran voce è quello di una nuova sfida per il servizio pubblico delle telecomunicazioni. Una sfida culturale, antica come la tv stessa ma rinnovata nell’era multimediale, non meno importante di quella costituita dalla precarietà, dalle pensioni basse, dal lavoro che non c'è. Televisione come mezzo di espressione dunque, espressione di qualità e cultura, di interesse, di quella funzione informativa/formativa caratteristica di scuole ed università.
Ecco che si rende necessario un palinsesto di qualità nel quale vengano premiate creatività e spessore culturale dei programmi e dei giovani autori nazionali, spesso sinora lasciati ai margini del mondo della televisione a vantaggio di format stranieri di discutibile dignità. Una sfida difficile, lontana dai facili ascolti dei Gossip estivi fatti di paparazzi e soubrette, di foto rubate e scandali all’italiana. Una comunicazione pubblica più sobria e profonda, ma anche curiosa ed originale, divisa per fasce orarie, certo, ma senza i dettami imposti dalla pubblicità, invadente a volte sino al punto di influenzare i contenuti delle trasmissioni (e non viceversa).

L’occasione del disegno di legge Gentiloni getta le fondamenta perché questa “rivisitazione” dei contenuti televisivi sia realizzabile nonostante il potere di quei pochi che controllano tutti i passaggi degli appalti televisivi e della messa in onda di programmi banali ma redditizi. Personalità spesso legate a cariche politiche piuttosto che a professionalità. Un disagio concreto di cui troppe volte gli autori sono portati ad accettare le condizioni perché altrimenti “non si lavora”, dove i direttori “non decidono più nulla” – Gianni Ippoliti.
La spirale pericolosa nella quale sembra stia sprofondando la tv pubblica è quella del già visto. Nulla di nuovo ma continui rifacimenti di format già conosciuti e testati. E’ una denuncia che viene anche da Mario Porcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione, che ha ricordato l’ottima risposta del pubblico alle proposte di qualità di teatri, nei musei, dal cinema, scavi archeologici. Ma non in TV, non in rai, dove vengono promossi concorsi destinati ad ingegneri e statistici ma non anche a giovani autori provenienti dalle sfere della comunicazione e delle lettere.

Queste le premesse per il rinnovamento della tv pubblica, intanto Bernardo Bertolucci fondatore del gruppo centautori che riunisce scrittori e registi cinematografici nella richiesta di contenuti di qualità per la tv, afferma che: “la sottocultura diffusa, o meglio imposta dalle grandi centrali televisive, sta creando generazioni di giovani infelici e assenti, che Non sanno di esserlo. Il sentimento che provo è quello che vorrebbe coinvolgere tutti quelli che come me hanno voglia di vedere un film che ancora non esiste, di vedere un libro che ancora non è stato scritto”.

In fondo, a pensarci bene, da quanto tempo il buon cinema in prima serata è stato soppiantato da programmini leggeri, donnine scosciate, pacchi, doppi pacchi e contropacotti?
Forse troppo.

Da comunitazione.it: http://comunitazione.it/leggi.asp?id_art=3180&id_area=212&id_mac=2&t=&trovato=fittipaldi