© piero_fittipaldi
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Johnny è il giovane rampollo di una famiglia italo-americana. Suo padre appartiene alla seconda generazione di immigrati siciliani e, con l’orgoglio di chi è riuscito a passare da una valigia di cartone ad una in pelle di coccodrillo, si autodefinisce “self made man, but made well”.
Ha successo negli affari e questo l’ha portato ad avere molti soldi, pochi problemi e ancor meno scrupoli. Per il prossimo business ha previsto un ritorno alle origini: la Sicilia, dove vuole edificare un villaggio/resort extralusso lungo la costa.
È tutto pronto, resta solo da acquistare i terreni sul quale dovrà sorgere il progetto, ma è un ostacolo che il denaro ed un famoso ed aggressivo studio legale riusciranno ad aggirare velocemente.
Johnny, il cui compito è concludere le trattative con i proprietari terrieri, parte alla volta della Sicilia, speranzoso di guadagnarsi la stima e la fiducia della figura paterna, ai suoi occhi così forte e vincente.

In Sicilia, Johnny raggiunge i contatti locali, figure ambigue incaricate di accompagnarlo nelle prime “ricognizioni” dei terreni.
In pochi giorni, Johnny impara a conoscere le persone, i luoghi e i colori che gli scorrono nel sangue e, sempre più spesso, cerca di ritagliarsi degli spazi per assaporarli in solitudine.
Una mattina, quando l’aria è ancora fresca e il cielo è un manto di penombra, Johnny esce in silenzio dall’albergo e, attratto dal suono della risacca in lontananza, si tuffa nel tepore di un mare appena sveglio.
Dopo il bagno, invece di rientrare in camera, si incammina lungo il bordo della strada, costeggiando i confini dei terreni che presto avrebbe acquisito. Si gira soltanto quando sente sopraggiungere un’auto, ma solo per vederla sbandare e fiondarglisi esattamente addosso.
Il colpo è fortissimo e, mentre l’automobilista fugge, lui è scagliato nel piccolo pendio tra la terra e l’asfalto, dove perde i sensi e scompare alla vista.

Quando rinviene è buio, del succo di arancia gli viene spremuto sulle labbra e due occhi scuri lo guardano curiosi. È Lina, la figlia dei contadini che si occupano del terreno: capelli corvini che sfuggono dal foulard, una colata di bronzo come pelle e il corpo solido ma sinuoso di chi lavora la terra.
È bellissima, ma un po’ tocca: una mente da bambina in un corpo di giovane donna.
Johnny non ricorda nulla. La sua lingua, la sua storia, nulla: come appena nato.
Zoppicando segue Lina che lo guida in una baracca poco distante dove, a fatica, si distende e si riaddormenta.
I giorni passano e Lina, pur nascondendolo ai genitori, continua a prendersi cura di lui, aiutando le sue ferite a rimarginarsi e il suo corpo a ritrovare energia. Parlano, prima a gesti poi con i primi vocaboli che impara e, con la semplicità di un bambino, Lina lo ribattezza Vito.
Appena Vito torna a camminare, Lina guida i suoi primi, incerti, passi tra le viti che li circondano.
Gli insegna come allungare una mano per gustare il sapore di un acino d’uva.
Gli insegna il calore del sole e l’ombra degli alberi.
Gli insegna la natura e il gioco e l’amore.
Gli insegna la vita.
Quella semplice, primordiale, genuina, quella che non si ciba d'altro che della terra dalla quale proviene.

Mentre la polizia, ignara dell’incidente, interrompe le ricerche dando Johnny per disperso in mare, Vito si ristabilisce e, arrivato il momento di uscire dalla caldestinità della baracca, Lina racconta la sua storia ai genitori. Questi, con la benevolenza tipica della gente semplice, lo accolgono in famiglia e lo introducono alla vita rurale.
Il tempo ed il lavoro gli fanno affiorare reminescenze di vita passata e, pian piano, la sua “educazione” al business torna a galla. Inizia così a lavorare anche per i proprietari terrieri adiacenti, conquistandone le grazie, la fiducia e il rispetto.

Intanto, tutti i proprietari continuano a ricevere offerte e pressioni da parte di loschi personaggi, perché vendano i propri terreni ad un misterioso imprenditore americano. Vito, che ha imparato ad amare quella terra e ne intravede il potenziale immenso, si impegna per riappacificare tra loro i vicini litigiosi e riunirli tutti in un’assemblea.
Qui Vito gli parla di quello sono e di quello che hanno, di quello che potrebbero essere e di quello che potrebbero avere. Ne scalda i cuori di Siciliani onesti e orgogliosi, li invita a non cedere e ad unire le forza in un progetto comune: esportare le ricchezze di quella loro terra lontano. Molto, molto lontano. Anche al di là dell’oceano, anche a “Nuova Yocche”.
L'idea piace e i proprietari raccolgono i soldi per acquistare un biglietto per gli Usa.

Quando Vito parte per l’America è certo di una cosa: l’imprenditore americano non avrà quella terrà, ma quella terra avrà l’America.